Personaggio strano, questo Dragan: bizzarro connubio di rigorosa razionalità scientifica e smaliziata sperimentazione creativa; trentenne che si dà l'aria di snobbare arte e letteratura (nell'intervista a cura di Paola Bonini, contenuta nel catalogo della mostra, Dragan rimemora la noia che lo accompagnò durante una visita alla Tate Gallery di Londra - interrotta solo dall'illuminazione davanti ad unico, significativo quadro: La metamorfosi di Narciso di Salvador Dalì - e liquida in maniera, lasciatemi dire, alquanto discutibile, il genere "romanzo" come una forma di intrattenimento inconsistente, «un genere di distrazione che trovo in qualche modo vuoto»…), ma che, a fronte di questa almeno apparente aridità d'emozioni, è capace di impiegare anche un intero mese intorno ad un'unica immagine, ritoccandola fino a raggiungere il risultato immaginato.
La fotografia, dunque, per Dragan non è che il punto di partenza di un processo che la oltrepassa, per arrivare ad esiti dal forte impatto spaesante - vedremo poi meglio perché - raggiunti essenzialmente grazie all'abile utilizzo di un pennello, sì, ma digitale.
A dirla tutta, Dragan non si esprime in termini particolarmente entusiastici neanche riguardo la fotografia: a sentirlo, pare quasi che scattare una foto sia per lui nient'altro che una tediante quanto inevitabile necessità tecnica ai fini del suo processo creativo, di cui se potesse farebbe volentieri a meno; niente macchina fotografica sempre pronta alla mano, dunque: pochi scatti, e solo nel momento in cui riconosca istintivamente di trovarsi di fronte ad un soggetto "giusto".
Un hobby appena un po' più "frivolo", però, questo scienziato ce l'ha. Ed è quello che più di ogni altro aspetto ci autorizza a formulare qualche ipotesi sulle radici della sua particolare ispirazione. Una passione che sfiora a suo dire l'ossessione, quella per i film del regista David Lynch (che vediamo ritratto, in basso, assieme ad una gallina), in special modo per Lost Highway - 'Strade perdute' -, visto e rivisto innumerevoli volte. Non è difficile accorgersi di come, in Dragan, certe inquadrature e strategie visive particolarmente stranianti rispecchino lo stile tormentato e visionario del regista americano, mirando anch'esse ad avvolgere l'osservatore in disagevoli spire di vertigini interpretative.
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