giovedì 28 gennaio 2010

Effetto Dragan




L'effetto Dragan prende il nome dal fotografo polacco Andrzej Dragan.Macabra. Gotica. "Noir". Sono questi gli aggettivi più frequentemente utilizzati per descrivere l'atmosfera che impregna di sé le immagini create dal giovane polacco Andrzej Dragan, stimato fisico quantistico prima che fotografo o "artista" che chiamar lo si voglia.

Personaggio strano, questo Dragan: bizzarro connubio di rigorosa razionalità scientifica e smaliziata sperimentazione creativa; trentenne che si dà l'aria di snobbare arte e letteratura (nell'intervista a cura di Paola Bonini, contenuta nel catalogo della mostra, Dragan rimemora la noia che lo accompagnò durante una visita alla Tate Gallery di Londra - interrotta solo dall'illuminazione davanti ad unico, significativo quadro: La metamorfosi di Narciso di Salvador Dalì - e liquida in maniera, lasciatemi dire, alquanto discutibile, il genere "romanzo" come una forma di intrattenimento inconsistente, «un genere di distrazione che trovo in qualche modo vuoto»…), ma che, a fronte di questa almeno apparente aridità d'emozioni, è capace di impiegare anche un intero mese intorno ad un'unica immagine, ritoccandola fino a raggiungere il risultato immaginato.

La fotografia, dunque, per Dragan non è che il punto di partenza di un processo che la oltrepassa, per arrivare ad esiti dal forte impatto spaesante - vedremo poi meglio perché - raggiunti essenzialmente grazie all'abile utilizzo di un pennello, sì, ma digitale.
A dirla tutta, Dragan non si esprime in termini particolarmente entusiastici neanche riguardo la fotografia: a sentirlo, pare quasi che scattare una foto sia per lui nient'altro che una tediante quanto inevitabile necessità tecnica ai fini del suo processo creativo, di cui se potesse farebbe volentieri a meno; niente macchina fotografica sempre pronta alla mano, dunque: pochi scatti, e solo nel momento in cui riconosca istintivamente di trovarsi di fronte ad un soggetto "giusto".

Un hobby appena un po' più "frivolo", però, questo scienziato ce l'ha. Ed è quello che più di ogni altro aspetto ci autorizza a formulare qualche ipotesi sulle radici della sua particolare ispirazione. Una passione che sfiora a suo dire l'ossessione, quella per i film del regista David Lynch (che vediamo ritratto, in basso, assieme ad una gallina), in special modo per Lost Highway - 'Strade perdute' -, visto e rivisto innumerevoli volte. Non è difficile accorgersi di come, in Dragan, certe inquadrature e strategie visive particolarmente stranianti rispecchino lo stile tormentato e visionario del regista americano, mirando anch'esse ad avvolgere l'osservatore in disagevoli spire di vertigini interpretative.

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